ASPI anche al lavoratore licenziato per motivi disciplinari

Un lavoratore licenziato per giusta causa o giustificato motivo soggettivo ha diritto all’ASPI, l’assicurazione per l’impiego che ha preso il posto della disoccupazione (e in futuro sostituirà anche l’indennità di mobilità): lo spiega il ministero del Lavoro nell’interpello 29/2013, in risposta a uno specifico quesito dei Consulenti del Lavoro. Il datore di lavoro che effettua il licenziamento deve quindi versare il relativo contributo, previsto dall’articolo 2, comma 31, della legge 92/2012 (Riforma del Lavoro).

ASPI per i licenziati

Il ministero spiega che l’ASPI fornisce un’indennità ai lavoratori colpiti da disoccupazione involontaria ammettendo al beneficio anche i casi di dimissione per giusta causa,  lavoratrice in maternità e licenziamento disciplinare.

Il Ministero cita a supporto di questa tesi le Circolari applicative INPS 140/2012, 142/2012 e 44/2013, nonché la sentenza della Corte Costituzionale 405/2001 che riconosce alla lavoratrice licenziata per motivi disciplinari l’indennità, ritenendo che alla tutela della maternità (prevista dagli articoli 31 e 37 della Costituzione) vada attribuito un rilievo superiore rispetto alla ragione del licenziamento.

Con analogo ragionamento, negare l’ASPI al licenziato costituirebbe ulterore reazione sanzionatoria. Non solo: il licenziamento per motivi disciplinari non può essere considerato un caso di disoccupazione volontaria, perchè il licenziamento non è mai una misura automatica (è una decisione «sempre rimessa alla libera determinazione e valutazione del datore di lavoro e costituisce esercizio di potere discrezionale», in base a una defizione contenuta nella sentenza di Cassazione 4382 del 25 luglio 1984), e fra l’altro è sempre impugnabile. Rulterebbe quindi iniquo negare l’ASPI nei casi in cui il giudice dovesse in un secondo momento ritenere illegittimo il licenziamento.

Risultato: non ci sono margini per negare il diritto all’ASPI a un lavoratore licenziao per giusta causa o giustificato motivo oggettivo. (Fonte: interpello 29/2013 del ministero del Lavoro)